Elsa Peretti, la signora del gioiello

da | 23, Mar, 2021

Elsa Peretti è mancata settimana scorsa, il 18 marzo 2021.
Si è spenta a 80 anni, nella piccola cittadina di Sant Martí Vell, il borgo dove viveva da tempo e che lei stessa aveva contribuito a restaurare.
Per rendere omaggio a questa straordinaria “Signora del Gioiello” ho deciso di riproporre  questo articolo che le avevo dedicato tempo fa.

Elsa Peretti ha rivoluzionato il mondo del design e dello stile, la sua era una creatività spiazzante caratterizata da uno sguardo costantemente rivolto al futuro.

Prima di morire ci ha lasciato con la sua ultima previsione: dopo l’onda d’urto del Covid19 il design, la moda e la creatività riscopriranno i valori della semplicità, della curiosità e dell’umiltà, cosa che effettivamente sta già avvenendo.

Elsa non fu soltanto designer di gioielli, ma anche modella ricercatissima, icona fashion e filantropa.  Infatti negli ultimi mesi il suo impegno si  era concentrato principalmente sull’Italia:
«..non solo perchè l’Italia è il mio Paese, ma anche perché è quello che sta subendo le peggiori conseguenze di questa pandemia, così con l’Ordine di Malta e il Circolo San Pietro abbiamo donato duemila pasti caldi da distribuire a Roma nelle mense all’aperto.»

Questa è solo una delle sue ultime innumerevoli iniziative, infatti, la designer  aveva sostenuto economicamente anche molte altre organizzationi al fine di arginare gli effetti sanitari, economici e sociali della pandemia nel Sud Italia.
Perchè per lei era importante «essere generosi e aperti verso gli altri.»

Nata a Firenze il 1’ maggio del 1940, già sin dalla prima infanzia Elsa era una bambina diversa dalle altre.
Alle bambole preferiva le gite al cimitero accompagnata dalla tata:
«Da ragazzina visitavo spesso la cripta di una chiesa cappuccina del diciassettesimo secolo a Roma dove le pareti erano decorate con ossa e mia madre doveva rimandarmi indietro ogni volta a restituire un piccolo ossicino.»

Difficile immaginare per lei un futuro diverso da quello dell’anatomopatologo.

Lei, invece, scelse l’arte, non studiò mai medicina ma, forse a ricordo delle sue inclinazioni infantili, le sue collezioni più celebri e di successo hanno nomi anatomici.
Impossibile non ricordare il celeberrimo bracciale “Bone” modellato direttamente intorno al polso che ha conquistato molte star: da Liza Minelli – che si avvicinò all’argento con diffidenza per poi ammettere di aver indossato a lungo solo le creazioni Elsa Peretti –  Sofia Loren e in ultimo la star di Wonder Woman, Gal Gadot.

Gal Gadot indossa il bracciale Bone di Elsa Peretti
Immagine pubblicitaria Bone by Elsa Peretti

Nata in una delle più ricche famiglie d’Italia, forse proprio per contrasto a questa agiatezza, lei assecondò e seguì per tutta la sua vita quello spirito di ribellione che le scorreva nelle vene.
Figlia minore di Ferdinando Peretti, l’industriale, fondatore dell’ Anonima Petroli Italiana, Elsa studiò a Roma ma, a soli 21 anni, abbandonò l’aristocratica e ricca vita borghese romana per fuggire in Svizzera dove si mantenne dando lezioni di italiano come istruttrice di sci a Gstaad. Nel 1963 si trasferì a Milano dove studiò interior design lavorando anche per l’architetto Dado Torrigiani.

L’anno seguente, con grande disappunto della famiglia, decise di trasferirsi a Barcellona.
Qui mosse i primissimi passi di quella che diventerà una sfolgorante carriera nel fashion system, carriera che fu ovviamente fortemente osteggiata dai genitori e provocò la rottura dei suoi legami famigliari. In questo periodo posò anche per il maestro Salvador Dalì.

Dalì voleva ritrarla nelle vesti di una suora ma quando lei si presentò abbronzatissima e stupenda la redarguì duramente:
«Le suore non si abbronzano.»

La Spagna in cui viveva Elsa era allora sconvolta e influenzata dalla dittatura franchista.
Ma in quel paese lei respirava il sapore di una libertà mai sperimentata: l’oceano, i marines, le prostitute, i fiori, le giornate in spiaggia e la città illuminata dal sole resteranno per sempre impressi nei suoi occhi.

Era però venuto il tempo di cambiare nuovamente orizzonte e scenario. 

Nel 1968 in una fredda giornata di febbraio, Elsa arrivò a Manhattan. Scese dall’aereo con un occhio nero, regalo indesiderato di un amante che non voleva lasciarla andare.

A New York tutto stava ancora per accadere: dal movimento femminista, all’autunno caldo di quell’anno, fino alle rivendicazioni sindacali per i diritti dei lavoratori..

Elsa però attraversò indenne il caos e gli scioperi che agitavano la città.

Non aveva un dollaro in tasca, ma possedeva una fede cieca, mistica e granitica nelle possibilità offerte dalla Grande Mela.

A New York Elsa Peretti iniziò la sua carriera di successo come modella: alta  e sofisticata, la sua bellezza mediterranea attirava l’attenzione di designer come Charles James e Issey Miyake, che la volevano assolutamente in passerella.
Ma fu solo con Roy Halston Frowick, noto come l’ ”Yves Saint Laurent degli States” che scoccò la scintilla: fu l’inizio di una amicizia destinata a durare per sempre.

Molte le sue frequentazioni di quel periodo: lo stilista Giorgio di Sant’Angelo, l’illustratore Joe Eula, Victor Hugo, amante di Halston, Andy Warhol e occasionalmente anche Liz Taylor.

Osservandola, nessuno avrebbe mai sospettato di quanto in realtà lei odiasse fare la modella e di quanto la terrorizzasse l’idea di posare davanti ad un obiettivo, per lei quel lavoro era solo un modo per sbarcare il lunario, dal momento che la sua famiglia l’aveva diseredata.

Furono comunque in molti ad immortalarla in scatti memorabili, da Scavullo fino a Helmut Newton che diventerà anche suo amante.
Elsa è tuttora indimenticabile nel servizio fotografico di Helmut Newton che la ritrasse sui tetti di New York in costume da coniglietta di Playboy.

Elsa aveva una marcia in più rispetto alle colleghe: una personalità che non passava inosservata, Halston, infatti, la descrisse così:
«Era diversa dalle altre modelle. Le altre erano grucce, manichini, ma lei aveva stile. Lei faceva suo l’abito che indossava..»

Negli anni glamour della sua vita newyorkese, dove la trasgressione era un must, Elsa non si risparmiò e condusse una vita mondana sfrenata e costellata da eccessi.
Conquistò una grande notorietà – documentata nelle foto e negli articoli di gossip che raccontavano le nottate nelle discoteche più cool del periodo da “Le Jardin” al Max’s Kansas City al “Saint”, dal “Paradise Garage fino al celeberrimo “Studio 54” – e i suoi litigi furibondi con Halston vennero persino documentati da Andy Warhol nei suoi diari.

Fino al 1969 per lei la gioielleria fu solo un hobby.

Elsa rivelò un talento particolare nel riuscire a cogliere ispirazione da oggetti apparentemente banali e quotidiani, come ad esempio un vaso di fiori argentato scovato nel mercatino delle pulci oppure le suggestioni prese a prestito della natura. Scorci della vita di tutti i giorni che ai suoi occhi geniali assumevano connotazioni instrise di un simbolismo arcaico.

Iniziò cosi a creare gioielli per puro piacere personale, oggetti preziosi plasmati quasi per gioco che però ottennero, fin dalla prima esposizione pubblica in una vetrina di Bloomingdale’s. grande visibilità,
Le sue creazioni, indossate durante una sfilata dello stilista Giorgio di Sant’Angelo, fecero immediatamente breccia nel cuore di tutti i presenti, compreso l’amico Roy Halston che le chiese di realizzare per la sua prossima collezione una linea di gioielli.

Per crearla Elsa decise di compiere una scelta inusuale e “disruptive”: utilizzò l’argento, materiale che ai tempi era considerato addirittura banale dall’alta gioielleria.

Nel 1974 Elsa Peretti era già una designer riconosciuta, nonostante la giovane età,  aveva già ottenuto un Coty Award  ed era già apparsa sulla copertina di Vogue.
Fu proprio in quello stesso anno che la maison Tiffany decise di puntare su questa ragazza poco più che trentenne.
Fu sempre l’inseparabile amico del cuore Halston ad accompagnarla all’incontro con l’allora CEO di Tiffany & CO.: Walter Hoving, incontro che avrebbe cambiato completamente la sua vita: Elsa infatti cominciò collaborare con la maison di gioielli come designer indipendente.

A lei Tiffany affidò il difficile compito di rendere più accessibile e “democratico” il gioiello.
Henry Platt, al tempo amministratore delegato della maison stava infatti «cercando qualcuno che potesse conquistare le giovani donne, ma anche le più adulte, disegnando gioielli da portare con i jeans ,ma anche con un abito da sera».

Fu così che l’argento, grazie alle creazioni di Elsa – le prime tre andarono esaurite in un solo giorno – fece il suo ingresso nel mondo del lusso.

Per Tiffany Elsa Peretti realizzò il primo ciondolo a forma di minuscola bottiglia che la maison lanciò con la collezione “Bottle”, una collezione  che riscosse immediato successo.
Forse l’ispirazione per questo gioiello le venne proprio dalla bottiglia per il profumo – secondo per vendite solo a Chanel n.5 – che aveva già realizzato in passato per lo stesso Halston:
«La prima cosa che feci a New York, nel 1969, fu realizzare una piccola bottiglia d’argento… che mi rese famosa. Amavo l’idea di girare per le strade con un fiore in un vaso al collo».

Nel 1977 Newsweek le dedicò una cover definendola l’iniziatrice della più grande rivoluzione nel mondo della gioielleria dai tempi del Rinascimento. Il successo fu tale che anche il presidente e CEO di Tiffany Michael Kowalski dichiarò:
«Il giorno in cui Elsa Peretti è entrata a far parte di Tiffany, noi siamo entrati in una nuova era della nostra storia di innovazione nel design.»

Questa democratizzazione del gioiello messa in atto da  Tiffany grazie alla designer agli inizi degli anni settanta si diffuse  globalmente ed è tutt’oggi fortemente attuale.
Ma la stilista ha contribuito anche a radicare nell’immaginario collettivo una concezione polivalente del gioiello.

Era infatti solita spiegare che i suoi modelli erano ispirati dal senso comune, creati eliminando ogni eccesso e ogni ridondanza per riprodurre quei «… contorni morbidi che gli oggetti indossati ogni giorno conquistano nel tempo.
Amo ciò che puoi indossare ma anche mettere sul tavolo come un oggetto d’arte».

Lo sguardo di Elsa non poteva oerò restare posato a lungo solo sulla Grande Mela e stava già spaziando oltre i suoi confini.

La designer infatti si trasferì a Sant Martì Vell, un piccolo borgo di cui lei si era innamorata e che aveva contribuito in prima persona a restaurare.
Dopo il ritmo frenetico di New York dove però ormai «..tutto era già stato fatto… lavorare fra pietre e tetti mi allontanava dalla mia immagine di Jewelry Designer» Elsa Peretti è un fiume in piena, inarrestabile e creativo.

Sul suo banco di lavoro si potevano trovare innumerevoli creazioni in cera dei suoi gioielli che sarebbero poi diventati dei classici. Elsa prendeva ispirazione non solo dalla natura, ma anche dagli eventi personali, come le collane serpenti:
«L’idea venne dal ricordo della coda di un serpente a sonagli che, a Losanna, mi fu regalata da un ragazzo texano.»

Ma anche i cuori da portare come ciondolo, forse per ricordare le sue lunghe relazioni che non avevano mai avuto come lieto fine il matrimonio, e Diamonds by the Yard, dove lunghe catene d’oro esibivano singoli diamanti incastonati in montature a castone essenziali perchè «I diamanti montati in questo modo hanno una luce diversa. Sembrano gocce di luce, come un ruscello.»

Elsa Peretti però non consacrò la sua vita solo all’arte: grazie all’enorme eredità ricevuta alla scomparsa del padre, nel 2000 fondò la “Nando and Elsa Peretti Foundation”, che si occupa della tutela e della promozione dei diritti umani e civili.
Negli anni questa fondazione ha supportato più di mille progetti in 81 paesi, per un valore di 50 milioni di euro.
Indubbiamente questa donna straordinaria ha saputo vivere una vita incredibile, cogliendo ogni opportunità e occasione che il destino, quello stesso destino in cui lei nutriva una fiducia incrollabile, le aveva offerto.

Fu proprio lei, in una delle innumerevoli interviste, a precisare che:
«Quello di vivere, come diceva Pavese, è davvero un mestiere.
Però lo puoi imparare.
Spero di esserci riuscita.»